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Il canto gregoriano

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== Pratica e uso del canto gregoriano ==
Non è qui nostra intenzione proporre un saggio di interpretazione del canto gregoriano né una lezione sulla vocalità da adottare per esso, dato che per questi argomenti esistono trattati scritti da illustri gregorianisti, che sviscerano l’argomento con la dovuta completezza. Ci interessa invece precisare come il canto gregoriano debba inserirsi nella moderna liturgia cattolica. Innanzitutto, si deve ricordare che:
 
'''''la Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana;<ref>Sacrosantum Concilium, cap. VI.116</ref>'''''<br />
(Sacrosantum Concilium, cap. VI.116)
 
da cui si evince che ''è errato ritenere questa forma musicale obsoleta o inadatta alla liturgia moderna e sia per lo stile e sia per la lingua''. Non importa che l’esecuzione dei canti gregoriani nella liturgia sia perfetta e filologica, ma basta tener presente alcuni semplici principî per ottenere risultati soddisfacenti. Distinguiamo, quindi, alcuni punti chiave per interpretare ed eseguire correttamente le diverse forme del canto gregoriano.
 
Riguardo alla vocalità, diremo solo che è buona regola cantare il gregoriano con voce naturale, non impostata liricamente, piana e liscia, in modo da scandire perfettamente tutti gli intervalli e, soprattutto, rendere intelligibile il testo. Non bisogna infatti dimenticare che il canto gregoriano è il trionfo del testo, di cui la melodia rappresenta un rafforzamento del significato. E quindi, le pause e tutti i respiri andranno eseguiti in funzione del testo stesso. Per lo stesso fine, sarà bene evitare l’eccessiva apertura delle vocali, e si cercherà di curare l’addolcimento di certi gruppi consonantici particolarmente aspri. In particolare, le sillabe alla fine di una frase dovranno essere non sostenute con forza, ma come sfumate, né dovranno essere eccessivamente lunghe, soprattutto quando quella frase appena terminata è seguíta o da un’altra strofa (in inni e simili) o continua in un nuovo discorso (come nei canti dell’Ordinario), ma contribuiranno ad esaltare il testo e l’orizzontalità della melodia se “lasciate”, usando un termine tecnico.
 
Per quanto riguarda i canti dell’ordinario, è lecito che la ''schola'' o l’assemblea li cantino interamente da cima a fondo; tuttavia, sarebbe buona abitudine fare in modo che la ''schola'' e l’assemblea procedessero '''alternatim''', ovvero alternandosi nel cantare le varie frasi. Lo “scambio” nella notazione gregoriana è facilmente riconoscibile dalla doppia stanghetta. Questo sistema funziona particolarmente bene anche per gli inni, ove alternativamente le strofe vengono cantate dalla ''schola'' e dall’assemblea, in modo da rendere partecipe anche quest’ultima e dare un senso al canto, che è e deve essere “preghiera”. Ovviamente, ci sono parti riservate esclusivamente alla ''schola'', come certi brani del Proprio particolarmente complessi.
 
La forma responsoriale che si trova in antifone, cantici e simili, prevede che
l’assemblea o tutta la schola (o esse insieme) cantino un’antifona, alla quale risponde
una sezione della schola o un salmista intonando un versetto. Quindi,
al termine di esso, l’assemblea o la schola cantano nuovamente l’antifona e cosí
via. Il modo in directum, usato raramente nella Messa, ma comune nella Liturgia
delle Ore, prevede invece che l’antifona si canti una volta all’inizio ed una
alla fine; i versetti che seguono sono cantati colla pratica dell’alternatim tra
cantori – che cantano la prima parte del versetto – e assemblea – che risponde
con la seconda parte del versetto –. L’uso del tipo di tono nei salmi privi di
melodia propria (in genere ad avere melodia propria sono i salmi dei responsorî
nella Liturgia delle Ore e alcuni salmi del Proprio della Messa) dipende
ovviamente dalla modalità in cui si canta l’antifona, ed ogni versetto si esegue
secondo particolari regole. Prendendo, per esempio, il II tono salmodico, uno
dei piú semplici, osserviamo una tipica procedura di salmodia.
== Note ==

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