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Il canto gregoriano

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* lo '''scandicus''' ed il '''salicus''' sono neumi di tre note ascendenti, non distinti tra di loro nella notazione vaticana. Per la loro rappresentazione sono impiegati indifferentemente sia la composizione di un ''punctum'' e
un ''podatus'' che un ''pes'' che precede una ''virga''. Li si interpreta come aventi un accento sulla terza nota, considerando dunque le prime due come ornamenti;
[[File:Spartiti-climacus-scandicus.jpg]]
* il '''torculus''' è un neuma di tre note, la seconda piú acuta delle altre due. È una figurazione che riceve un leggero accento di spinta sulla prima nota, ma mette in evidenza anche le altre due, anzi, è la seconda nota a rappresentarne la vetta e quindi è quella che può imporsi sulle altre sia in durata che in intensità. L’ultima nota, infine, conduce alla conclusione e come tale è rilassata e calma;
* il '''porrectus''' è la variante grave del ''torculus'', essendo composto da tre note, di cui la seconda è la piú grave. A livello ritmico la prima nota del ''porrectus'' è forte ed accentata, la seconda e la terza sono secondarie;
[[File:Spartiti-torculus-porrectus.jpg]]
* il '''quilisma''' è una nota dentellata di forma irregolare che si trova sempre al centro di un movimento ascendente e mai da sola. Il suo effetto è quello di prolungare leggermente la nota che lo precede, senza avere alcun
effetto sul suo stesso ritmo.
[[File:Spartiti-quilisma.jpg]]
Nella notazione quadrata ogni neuma può essere provvisto o meno di segni d’accento convenzionali. L’'''episema orizzontale''' (4) indica che il neuma sottostante deve essere interpretato con un accento che ne aumenti la durata; l’'''episema verticale''' (5) indica che quel neuma è un appoggio ritmico e come tale va evidenziato; il '''punto mora''' (6), infine, raddoppia la durata della nota a cui è apposto e indica che quel neuma è un elemento ritmico a sé stante o una sillaba di particolare importanza. Non a caso gli episemi verticali e orizzontali si trovano spesso sulle sillabe di parole come Deus, Dominus o simili per dare ad essere maggior risalto.
 
Il canto gregoriano si sviluppa in una melodia prevalentemente diatonica, seguendo una scala naturale, detta modo, di cui si parlerà in séguito, per cui non ammette alterazioni, ad eccezione del bemolle (3); questo può essere applicato al si, se quest’ultimo venisse a creare quella figurazione chiamata tritono. A tal proposito si ricorda il distico mnemonico medievale:
 
''Una nota super la, semper est canendum fa.''
 
In pratica, quando l’ambitus della melodia superava l’esacordo naturale allora ammesso (do-la), si ricorreva alla pratica della solmisazione, che consisteva nel trasporre l’esacordo naturale una quarta ed una quinta sopra: quello che partiva da fa (fa-re) era detto esacordo molle, e conteneva il si bemolle, mentre quello che partiva da sol (sol-mi) era detto esacordo duro, e conteneva il si naturale. I nomi delle note erano gli stessi per le sei posizioni dei tre esacordi. Con questa pratica era possibile cantare brani il cui ''ambitus'' era piú ampio dell’esacordo naturale.
 
È adesso opportuno parlare anche di come si trascrive la notazione quadrata in quella moderna. Premettiamo súbito che nessuna trascrizione, ancorché accurata, potrà rendere alla perfezione il significato musicale della notazione
originale, la quale è già di per sé una semplificazione delle arcaiche notazioni adiastematiche in campo aperto.
 
Nei secoli passati si consideravano poco le differenze ritmiche che intercorrono tra i neumi diversi, a causa del tempo relativamente lento a cui si eseguiva il gregoriano. A partire dalla Riforma ceciliana, si è approfondita la questione della trascrizione parallelamente alla rivalutazione del gregoriano e la formulazione di accompagnamenti ad esso.
 
Si possono adottare due metodi di trascrizione: o si fa uso di semplici punti neri (note senza gambo, per intendersi), o si utilizzano appropriatamente figurazioni ritmiche diverse. Sebbene la prima soluzione possa sembrare la piú
immediata, essa non ha mai riscosso grande successo, a causa della difficoltà che pone nel caso di debba realizzare per iscritto un accompagnamento; inoltre non definisce bene le differenze ritmiche tra i neumi. Per la seconda soluzione, invece, si consiglia di utilizzare unicamente i valori di croma per la maggior parte dei neumi, e di seminima per quelli particolarmente piú lunghi,
 
ovvero i neumi con punto mora, i neumi precedenti un quilisma o un gruppo di neumi d’uguale altezza ripetuti piú volte di séguito (come la distropha o la tristropha); in quest’ultima situazione – e solo se alla distropha/tristropha seguono altre note –, dato che effettivamente l’esecuzione sarebbe diversa da una semplice nota piú lunga, si può segnalare la presenza delle ''strophae'' con un marcato (^) sopra la nota che le trascrive. Nel caso di gruppi di neumi che stanno sopra la stessa sillaba (melisma), anche nella trascrizione le note si uniscono mediante legatura di portamento e, se si usano le crome, i gambi di esse vanno uniti mediante il noto collegamento trasversale. Riportiamo qui sotto la trascrizione dell’antifona ''Ubi caritas'' che abbiamo presentato all’inizio:
 
[[File:Spartiti-ubi-caritas-notazione-moderna.jpg]]
== Note ==