Musicam Sacram
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Musicam sacram è il titolo di un'istruzione sulla musica sacra cattolica romana pubblicata dalla Sacra Congregazione dei Riti il 5 marzo 1967 in concomitanza con il Concilio Vaticano II. [1] L'istruzione riguarda la forma e la natura della musica di culto nell'ambito del Sacrosanctum concilium.[2] Secondo il documento, non è una raccolta di "tutta la legislazione sulla musica sacra; stabilisce solo le norme principali che sembrano essere più necessarie ai nostri giorni".[3]
Indice
Introduzione
ISTRUZIONE DEL «CONSILIUM»
E DELLA SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI
MUSICAM SACRAM
5 marzo 1967
Proemio
1. La musica sacra ha formato oggetto di considerazione da parte del Concilio Vaticano II, per gli aspetti che hanno relazione con la riforma liturgica. Il Concilio, infatti, ne ha messo in rilievo i compiti nel culto divino, fissando in proposito vari principi e varie norme nella Costituzione sulla sacra Liturgia, e dedicandole un intero capitolo nella medesima Costituzione.
2. Le decisioni del Concilio hanno già avuto una prima applicazione nella riforma liturgica da poco iniziata. Ma le nuove norme circa l’ordinamento dei riti e la partecipazione attiva dei fedeli hanno suscitato alcune difficoltà riguardanti la musica sacra e il suo compito ministeriale. È quindi sembrato utile risolvere tali difficoltà anche per mettere meglio in luce alcuni principi posti dalla Costituzione sulla sacra Liturgia.
3. Pertanto il «Consilium» per l’applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia, per incarico del Sommo Pontefice, ha accuratamente esaminato tali questioni ed ha preparato la presente Istruzione, che non si propone di raccogliere tutta la legislazione sulla musica sacra, ma soltanto di fissare le norme principali che sembrano più necessarie in questo momento. Essa viene quasi a continuare e completare la precedente Istruzione di questa Sacra Congregazione, ugualmente preparata dal «Consilium», riguardante la esatta applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia, ed emanata il 26 settembre 1964.
4. È lecito sperare che i pastori d’anime, i musicisti e i fedeli, accogliendo volentieri e mettendo in pratica queste norme, uniranno, in piena concordia, i loro sforzi per raggiungere il vero fine della musica sacra «che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli»[4].
a) Musica sacra è quella che, composta per la celebrazione del culto divino, è dotata di santità e bontà di forme[5].
b) Sotto la denominazione di Musica sacra si comprende, in questo documento: il canto gregoriano, la polifonia sacra antica e moderna nei suoi diversi generi, la musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente ammessi nella Liturgia, e il canto popolare sacro, cioè liturgico e religioso[6].
I. ALCUNE NORME GENERALI
5. L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando è celebrata in canto, con i ministri di ogni grado che svolgono il proprio ufficio, e con la partecipazione del popolo[7]. In questa forma di celebrazione, infatti, la preghiera acquista un’espressione più gioiosa, il mistero della sacra Liturgia e la sua natura gerarchica e comunitaria vengono manifestati più chiaramente, l’unità dei cuori è resa più profonda dall’unità delle voci, gli animi si innalzano più facilmente alle cose celesti per mezzo dello splendore delle cose sacre, e tutta la celebrazione prefigura più chiaramente la liturgia che si svolge nella Gerusalemme celeste.
Perciò i pastori di anime si sforzino in ogni modo di realizzare questa forma di celebrazione; anzi, sappiano convenientemente applicare, anche alle celebrazioni senza canto, cui il popolo partecipa, la distribuzione degli uffici e delle parti, propria dell’azione liturgica celebrata in canto, curando soprattutto che vi siano i ministri necessari e idonei e sia favorita la partecipazione attiva dei fedeli. La preparazione pratica di ogni celebrazione liturgica si faccia d’accordo tra tutti coloro che devono curare la parte rituale o pastorale o del canto, sotto la guida del rettore della chiesa.
6. L’ordinamento autentico della celebrazione liturgica presuppone anzitutto la debita divisione ed esecuzione degli uffici, per cui «ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza»[8] richiede inoltre che si rispetti il senso e la natura propria di ciascuna parte e di ciascun canto. Per questo è necessario in particolare che le parti, che di per sé richiedono il canto, siano di fatto cantate, usando tuttavia il genere e la forma richiesti dalla loro natura.
7. Tra la forma solenne più completa delle celebrazioni liturgiche, nella quale tutto ciò che richiede il canto viene di fatto cantato, e la forma più semplice, nella quale non si usa il canto, si possono avere diversi gradi, a seconda della maggiore o minore ampiezza che si attribuisce al canto. Tuttavia nello scegliere le parti da cantarsi si cominci da quelle che per loro natura sono di maggiore importanza: prima di tutto quelle spettanti al sacerdote e ai ministri, cui deve rispondere il popolo, o che devono essere cantate dal sacerdote insieme con il popolo; si aggiungano poi gradualmente quelle che sono proprie dei soli fedeli o della sola «schola cantorum».
8. Ogni volta che, per una celebrazione liturgica in canto, si può fare una scelta di persone, è bene dar la preferenza a coloro che sono più capaci nel canto; e ciò soprattutto quando si tratta di azioni liturgiche più solenni, di celebrazioni che comportano un canto più difficile o che vengono trasmesse per radio o per televisione[9].
Se poi questa scelta non è possibile, e il sacerdote o il ministro non è capace di eseguire convenientemente le parti di canto, questi può recitare ad alta voce, declamando, l’una o l’altra delle parti più difficili a lui spettanti; ma ciò non deve favorire solo la comodità del sacerdote o del ministro.
9. Nello scegliere il genere di musica sacra, sia per la «schola cantorum» che per i fedeli, si tenga conto delle possibilità di coloro che devono cantare. La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito dell’azione liturgica e alla natura delle singole parti[10], e non impedisca una giusta partecipazione dei fedeli[11].
10. Perché i fedeli partecipino attivamente alla liturgia più volentieri e con maggior frutto, conviene che le forme di celebrazione e i gradi di partecipazione siano opportunamente variati, per quanto è possibile, secondo la solennità dei giorni e delle assemblee.
11. Si tenga presente che la vera solennità di un’azione liturgica dipende non tanto dalla forma più ricca del canto e dall’apparato più fastoso delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo degno e religioso della celebrazione, che tiene conto dell’integrità dell’azione liturgica, dell’esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo la loro natura. La forma più ricca del canto e l’apparato più fastoso delle cerimonie sono sì qualche volta desiderabili, quando cioè vi sia la possibilità di fare ciò nel modo dovuto; sarebbero tuttavia contrari alla vera solennità dell’azione liturgica, se portassero ad ometterne qualche elemento, a mutarla o a compierla in modo indebito.
12. Alla sola Sede Apostolica compete di stabilire, secondo le norme tradizionali, ma specialmente secondo la Costituzione sulla sacra Liturgia, i principi generali più importanti, che sono come il fondamento della musica sacra. Tale diritto spetta, entro i limiti stabiliti, anche alle Conferenze Episcopali, legittimamente costituite, e al Vescovo[12].
II. I partecipanti alle celebrazioni liturgiche
13. Le azioni liturgiche sono celebrazioni della Chiesa, cioè del popolo santo radunato e ordinato sotto la guida del Vescovo o del sacerdote[13]. In esse hanno un posto particolare, per il sacro ordine ricevuto, il sacerdote e i suoi ministri; e, per l’ufficio che svolgono, i ministranti, il lettore, il commentatore e i membri della «schola cantorum»[14].
14. Il sacerdote presiede la santa assemblea in persona di Cristo. Le preghiere che egli canta o dice ad alta voce, poiché proferite in nome di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti[15],devono essere da tutti ascoltate religiosamente.
15. I fedeli adempiono il loro ufficio liturgico per mezzo di quella piena, consapevole e attiva partecipazione che è richiesta dalla natura stessa della Liturgia e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del battesimo[16].
Questa partecipazione:
a) deve essere prima di tutto interna: e per essa i fedeli conformano la loro mente alle parole che pronunziano o ascoltano, e cooperano con la grazia divina[17];
b) deve però essere anche esterna: e con questa manifestano la partecipazione interna attraverso i gesti e l’atteggiamento del corpo, le acclamazioni, le risposte e il canto[18];
Si educhino inoltre i fedeli a saper innalzare la loro mente a Dio attraverso la partecipazione interiore, mentre ascoltano ciò che i ministri o la «schola» cantano.
16. Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo questo ordine:
a) Comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e alle preghiere litaniche; inoltre le antifone e i salmi, i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici[19].
b) Con una adatta catechesi e con esercitazioni pratiche si conduca gradatamente il popolo ad una sempre più ampia, anzi fino alla piena partecipazione a tutto ciò che gli spetta.
c) Si potrà tuttavia affidare alla sola «schola» alcuni canti del popolo, specialmente se i fedeli non sono ancora sufficientemente istruiti, o quando si usano composizioni musicali a più voci, purché il popolo non sia escluso dalle altre parti che gli spettano. Ma non è da approvarsi l’uso di affidare per intero alla sola «schola cantorum» tutte le parti cantate del «Proprio» e dell’« Ordinario», escludendo completamente il popolo dalla partecipazione nel canto.
17. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio[20] per esso, infatti, i fedeli non sono ridotti a partecipare all’azione liturgica come estranei e muti spettatori, ma si inseriscono più intimamente nel mistero che si celebra, in forza delle disposizioni interne, che derivano dalla Parola di Dio che si ascolta, dai canti e dalle preghiere che si pronunziano, e dall’unione spirituale con il sacerdote che proferisce le parti a lui spettanti.
18. Tra i fedeli siano istruiti con speciale cura nel canto sacro i membri delle associazioni religiose di laici, affinché contribuiscano più efficacemente a sostenere e promuovere la partecipazione dei fedeli[21]. La formazione di tutti i fedeli al canto sia promossa con zelo e pazienza, insieme alla formazione liturgica, secondo l’età, la condizione, il genere di vita e il grado di cultura religiosa dei fedeli stessi, iniziando già dai primi anni di istruzione nelle scuole elementari[22].
19. È degno di particolare attenzione, per il servizio liturgico che svolge, il «coro» o «cappella musicale» o «schola cantorum».
A seguito delle norme conciliari riguardanti la riforma liturgica, il suo compito è divenuto di ancor maggiore rilievo e importanza: deve infatti curare l’esecuzione esatta delle parti sue proprie, secondo i vari generi di canto, e favorire la partecipazione attiva dei fedeli nel canto.
Pertanto:
a) un « coro» o una «cappella musicale» o una « schola cantorum» si abbia e si promuova con cura, specialmente nelle cattedrali e nelle altre chiese maggiori, nei seminari e negli studentati religiosi;
b) «scholae», benché modeste, è opportuno siano istituite anche presso le chiese minori.
20. Le cappelle musicali già esistenti presso basiliche, cattedrali, monasteri e altre chiese maggiori, e che nel corso dei secoli si sono acquistate grandi meriti, custodendo e sviluppando un patrimonio musicale di inestimabile valore, si conservino, con propri regolamenti, riveduti e approvati dall’Ordinario, per una celebrazione delle azioni sacre in una forma più sontuosa.
Tuttavia i maestri di quelle «scholae» e i rettori delle chiese si curino che i fedeli possano sempre associarsi al canto, almeno nell’esecuzione delle parti più facili che loro spettano.
21. Si provveda, specialmente dove non si abbia la possibilità di istituire neppure una «schola» modesta, che ci siano almeno uno o due cantori, convenientemente istruiti, che propongano almeno dei canti semplici per la partecipazione del popolo e guidino e sostengano opportunamente i fedeli nell’esecuzione di quanto loro spetta. È bene che ci sia un tale cantore anche nelle chiese che hanno una «schola», per quelle celebrazioni alle quali la «schola» non può partecipare, e che tuttavia devono svolgersi con una certa solennità, e perciò con il canto.
22. La «schola cantorum», secondo le legittime consuetudini dei vari paesi e le diverse situazioni concrete, può esser composta sia di uomini e ragazzi, sia di soli uomini o di soli ragazzi, sia di uomini e donne, ed anche, dove il caso veramente lo richieda, di sole donne.
23. La «schola cantorum», tenendo conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo che:
a) chiaramente appaia la sua natura: che essa cioè fa parte dell’assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio;
b) sia facilitata l’esecuzione del suo ministero liturgico[23];
c) sia assicurata a ciascuno dei suoi membri la comodità di partecipare alla Messa nel modo più pieno, cioè attraverso la partecipazione sacramentale.
Quando poi la «schola cantorum» comprenda anche donne, sia posta fuori del presbiterio.
24. Oltre alla formazione musicale, si dia ai membri della «schola cantorum» anche un’adeguata formazione liturgica e spirituale, in modo che dalla esatta esecuzione del loro ufficio liturgico, derivi non soltanto il decoro dell’azione sacra e l’edificazione dei fedeli, ma anche un vero bene spirituale per gli stessi cantori.
25. Ad assicurare più facilmente questa formazione tecnica e spirituale, prestino la loro opera le associazioni diocesane, nazionali ed internazionali di musica sacra, e specialmente quelle approvate e più volte raccomandate dalla Sede Apostolica.
26. Il sacerdote celebrante, i ministri sacri o i ministranti, il lettore, i membri della «schola cantorum» e il commentatore proferiscano le parti loro assegnate in modo ben intelligibile, così da rendere più facile e quasi naturale la risposta dei fedeli, quando è richiesta dal rito. È bene che il sacerdote e i ministri di ogni grado uniscano la propria voce alla voce di tutta l’assemblea nelle parti spettanti al popolo[24].
III. Il canto nella celebrazione della messa
27. Nella celebrazione dell’Eucaristia, con la partecipazione del popolo, specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi, si preferisca, per quanto è possibile, la forma della Messa in canto anche più volte nello stesso giorno.
28. Rimane in vigore la distinzione tra Messa solenne, Messa cantata e Messa letta, stabilita dalla Istruzione del 1958 (n. 3), secondo la tradizione e le vigenti leggi liturgiche. Tuttavia, per motivi pastorali, vengono proposti per la Messa cantata dei gradi di partecipazione, in modo che risulti più facile, secondo le possibilità di ogni assemblea liturgica, rendere più solenne con il canto la celebrazione della Messa. L’uso di questi gradi sarà così regolato: il primo potrà essere usato anche da solo; il secondo e il terzo, integralmente o parzialmente, solo insieme al primo. Perciò si curi di condurre sempre i fedeli alla partecipazione piena al canto.
29.Il primo grado comprende:
a) nei riti d’ingresso: — il saluto del sacerdote celebrante con la risposta dei fedeli; — l’orazione;
b) nella liturgia della parola: — le acclamazioni al Vangelo;
c) nella liturgia eucaristica: — l’orazione sulle offerte; — il prefazio, con il dialogo e il Sanctus; — la dossologia finale del Canone; — il Pater noster con la precedente ammonizione e l’embolismo: — il Pax Domini; — l’orazione dopo la comunione; — le formule di congedo.
30. Il secondo grado comprende: a) il Kyrie, il Gloria e l’Agnus Dei; b) il Credo; c) l’orazione dei fedeli.
31. Il terzo grado comprende: a) i canti processionali d’ingresso e di comunione; b) il canto interlezionale dopo la lettura o l’epistola; c) l’Alleluia prima del vangelo; d) il canto dell’offertorio; e) le letture della sacra Scrittura, a meno che non si reputi più opportuno proclamarle senza canto.
32. L’uso legittimamente vigente in alcuni luoghi, qua e là confermato con indulto, di sostituire con altri testi i canti d’ingresso, d’offertorio e di comunione che si trovano nel Graduale, può essere conservato, a giudizio della competente autorità territoriale, purché tali canti convengano con il particolare momento della Messa, con la festa e il tempo liturgico. La stessa autorità territoriale deve approvare il testo di questi canti.
33. È bene che l’assemblea partecipi, per quanto è possibile, ai canti del «Proprio»; specialmente con ritornelli facili o forme musicali convenienti.
Fra i canti del «Proprio» riveste particolare importanza il canto interlezionale in forma di graduale o di salmo responsoriale. Esso, per sua natura, fa parte della liturgia della parola; si deve perciò eseguire mentre tutti stanno seduti e in ascolto e anzi, per quanto è possibile, con la partecipazione dell’assemblea.
34. I canti che costituiscono l’Ordinario della Messa, se sono cantati su composizioni musicali a più voci, possono essere eseguiti dalla «schola» nel modo tradizionale, cioè o « a cappella» o con accompagnamento, purché, tuttavia, il popolo non sia totalmente escluso dalla partecipazione al canto.
Negli altri casi, i canti dell’Ordinario della Messa possono essere distribuiti tra la «schola» e il popolo, o anche tra due cori del popolo stesso, in modo cioè che la divisione sia fatta a versetti alternati, o in altro modo più conveniente, che tenga conto di sezioni più ampie del testo.
In questi casi, tuttavia, si tenga presente:
— Il Credo, essendo la formula di professione di fede, è preferibile che venga cantato da tutti, o in un modo che permetta una adeguata partecipazione dei fedeli.
— Il Sanctus, quale acclamazione finale del prefazio, è preferibile che sia cantato, ordinariamente da tutta l’assemblea, insieme al sacerdote.
— L’Agnus Dei può essere ripetuto quante volte è necessario, specialmente nella celebrazione, durante la frazione del Pane. E bene che il popolo partecipi a questo canto, almeno con l’invocazione finale.
35. È conveniente che il Pater noster sia cantato dal popolo insieme al sacerdote[25]. Se è cantato in latino, si usino le melodie approvate già esistenti; se si canta in lingua volgare, le melodie devono essere approvate dalla competente autorità territoriale.
36. Nulla impedisce che nelle Messe lette si canti qualche parte del «Proprio» o dell’« Ordinario». Anzi talvolta si possono usare anche altri canti all’inizio, all’offertorio, alla comunione e alla fine della Messa: non è però sufficiente che siano canti «eucaristici», ma devono convenire con quel particolare momento della Messa, con la festa o con il tempo liturgico.
IV. Il canto dell’ufficio divino
37. La celebrazione in canto dell’Ufficio divino è la forma che maggiormente si addice alla natura di questa preghiera ed è segno di una più completa solennità e di una più profonda unione dei cuori nel celebrare la lode di Dio. Secondo il desiderio espresso dalla Costituzione sulla sacra Liturgia, questa forma è caldamente raccomandata a coloro che celebrano l’Ufficio divino in coro o in comune[23].
È bene che essi cantino almeno qualche parte dell’Ufficio divino e in particolare le Ore principali, cioè le Lodi e i Vespri, soprattutto la domenica e i giorni festivi.
Anche altri chierici che per ragione di studio fanno vita in comune, o vengono a trovarsi insieme in occasione di esercizi spirituali o di altri convegni, santifichino opportunamente i loro incontri con la celebrazione in canto di alcune parti dell’Ufficio divino.
38. Nella celebrazione in canto dell’Ufficio divino, fermi restando il diritto vigente per coloro che sono obbligati al coro e ogni indulto particolare, può ammettersi il principio della solennizzazione progressiva: si possono cioè cantare quelle parti che per loro natura sono più direttamente destinate al canto, come i dialoghi, gli inni, i versetti, i cantici, e recitare le altre.
39. Si invitino i fedeli, e si educhino con una conveniente catechesi, a celebrare in comune, la domenica e i giorni festivi, alcune parti dell’Ufficio divino, specialmente i Vespri o altre Ore, secondo la consuetudine dei luoghi e delle varie comunità. Generalmente s’indirizzino i fedeli, e in particolare i più istruiti, ad usare nelle loro preghiere i salmi, compresi nel loro senso cristiano, cosicché siano a poco a poco iniziati ad usare e gustare maggiormente la preghiera pubblica della Chiesa.
40. Questa iniziazione sarà assicurata in modo particolare ai membri degli Istituti che professano i consigli evangelici, affinché da essa attingano ricchezze più abbondanti per alimentare la loro vita spirituale. Ed è bene che essi celebrino anche in canto, per quanto è possibile, le Ore principali, per partecipare più intensamente alla preghiera pubblica della Chiesa.
41. A norma della Costituzione sulla sacra Liturgia, secondo la secolare tradizione del rito latino, per i chierici sia conservata nell’Ufficio divino, celebrato in coro, la lingua latina[24].
Ma poiché la stessa Costituzione sulla sacra Liturgia prevede l’uso della lingua volgare nell’Ufficio divino, sia per i fedeli che per le monache e i membri, non chierici, degli Istituti che professano i consigli evangelici[25], si curi la preparazione delle melodie da usarsi nel canto dell’Ufficio divino in lingua volgare.
V. La musica sacra nella celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, in particolari azioni sacre dell’anno liturgico, nelle sacre celebrazioni della parola di Dio e nei pii e sacri esercizi
42. Secondo il principio enunciato dal Concilio, che cioè «ogni volta i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli, questa sia da preferirsi alla celebrazione individuale e quasi privata»[26], ne consegue necessariamente l’importanza da attribuire al canto, come mezzo quanto mai adatto a manifestare l’aspetto «ecclesiale» della celebrazione.
43. Alcune celebrazioni dei Sacramenti e dei Sacramentali che hanno particolare importanza nella vita dell’intera comunità parrocchiale, come la Cresima, le Sacre Ordinazioni, il Matrimonio, la Consacrazione di una chiesa o di un altare, le esequie, ecc., per quanto è possibile, si svolgano in canto, in modo che anche la solennità del rito contribuisca ad una maggiore efficacia pastorale. Si abbia però molta cura nell’evitare che, sotto le apparenze della solennità, si introduca nelle celebrazioni alcunché di puramente profano o di meno conveniente al culto divino: ciò si applica specialmente alla celebrazione dei matrimoni.
44. Si rendano più solenni con il canto anche quelle celebrazioni cui la liturgia assegna, nel corso dell’anno liturgico, uno speciale rilievo.
Ma in modo del tutto particolare si dia la dovuta solennità ai riti sacri della Settimana santa, i quali, attraverso la celebrazione del mistero pasquale, conducono i fedeli al centro stesso dell’anno liturgico e di tutta la liturgia.
45. Anche per la liturgia dei Sacramenti e dei Sacramentali e per le altre principali azioni sacre dell’anno liturgico si preparino le opportune melodie, per promuovere in forma più solenne la loro celebrazione anche nella lingua volgare, secondo le norme fissate dall’autorità competente e le possibilità di ciascuna assemblea.
46. Grande è l’efficacia della musica sacra nell’alimentare la pietà dei fedeli anche nelle sacre celebrazioni della parola di Dio e nei pii e sacri esercizi.
Nelle sacre celebrazioni della parola di Dio[27] si prenderà come esempio la liturgia della Parola della Messa[28]; nei pii e sacri esercizi saranno di grande utilità specialmente i salmi, le opere di musica sacra tratte dal repertorio antico e moderno, i canti religiosi popolari e il suono dell’organo e di altri strumenti più caratteristici. Inoltre in questi pii e sacri esercizi e specialmente nelle sacre celebrazioni della Parola di Dio, si possono benissimo ammettere anche alcune opere musicali le quali, benché non abbiano più posto nella liturgia, possono tuttavia nutrire lo spirito religioso e favorire la meditazione dei misteri sacri[29].
VI. Quale lingua usare nelle azioni liturgiche celebrate in canto, e come conservare il patrimonio di musica sacra
47. A norma della Costituzione sulla sacra Liturgia, «l’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, venga conservato nei riti latini»[30]. Dato però che «non di rado l’uso della lingua volgare può riuscire di grande utilità per il popolo»[31], « spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, decidere circa l’adozione e la misura della lingua volgare. Tali decisioni devono essere approvate o ratificate dalla Sede Apostolica»[32].
Perciò, nel pieno rispetto di queste norme, si sceglierà la forma di partecipazione che meglio risponde alle possibilità di ciascuna assemblea.
Curino i pastori d’anime che, oltre che in lingua volgare, «i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti che loro spettano dell’Ordinario della Messa»[33].
48. Là dove è stato introdotto l’uso della lingua volgare nella celebrazione della Messa, gli Ordinari del luogo giudichino dell’opportunità di conservare una o più Messe in lingua latina, specialmente in canto, in alcune chiese, soprattutto delle grandi città, ove più numerosi vengono a trovarsi fedeli di diverse lingue.
49. Circa l’uso della lingua latina o volgare nelle sacre celebrazioni nei seminari, si osservino le norme date dalla Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi sulla formazione liturgica dei chierici.
I membri degli istituti che professano i consigli evangelici osservino su questo punto quanto è stato stabilito nella Lettera Apostolica Sacriflcium Laudis del 15 agosto 1966, e nella Istruzione sulla lingua da usarsi nell’Ufficio divino e nella Messa conventuale o di comunità presso i religiosi, emanata da questa Sacra Congregazione dei Riti il 23 novembre 1965.
50. Nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina:
a) Al canto gregoriano, come canto proprio della liturgia romana, si riservi, a parità di condizioni, il primo posto[34]. Le melodie esistenti nelle edizioni tipiche si usino nel modo più opportuno.
b) «Conviene inoltre che si prepari un’edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese minori»[35].
c) Le composizioni musicali di altro genere, a una o più voci, appartenenti al patrimonio tradizionale, o contemporanee, siano tenute in onore, si incrementino e si eseguano secondo la possibilità[36].
51. Inoltre, tenendo presenti le condizioni dell’ambiente, l’utilità pastorale dei fedeli e la natura di ogni lingua, vedano i pastori di anime se — oltre che nelle azioni liturgiche celebrate in latino — parti del patrimonio di musica sacra, composta nei secoli precedenti per testi in lingua latina, possano usarsi anche nelle celebrazioni fatte in lingua volgare. Niente infatti impedisce che in una stessa celebrazione si cantino alcune parti in un’altra lingua.
52. Per conservare il patrimonio della musica sacra e per favorire debitamente le nuove forme del canto sacro, «si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e nei loro studentati, come pure negli istituti e scuole cattoliche in genere», specialmente presso gli Istituti superiori creati a questo scopo[37]. Si incrementi prima di tutto lo studio e l’uso del canto gregoriano che, per le sue caratteristiche, è una base importante nella educazione alla musica sacra.
53. Le nuove composizioni di musica sacra si conformino fedelmente ai principi e alle norme esposte. Perciò «abbiano le caratteristiche della vera musica sacra; e possano essere cantate non solo dalle maggiori Scholae Cantorum, ma convengano anche alle Scholae minori, e favoriscano la partecipazione attiva di tutta l’assemblea dei fedeli»[38].
Per quanto riguarda il repertorio tradizionale, prima di tutto si mettano in luce quelle parti che rispondono alle esigenze della sacra Liturgia rinnovata; gli esperti in materia considerino inoltre attentamente se anche altre parti possono adattarsi alle stesse esigenze; quanto infine assolutamente non risponde alla natura dell’azione liturgica o alla sua conveniente celebrazione pastorale, si trasferisca opportunamente ai pii esercizi e, più ancora, alle sacre celebrazioni della Parola di Dio[39].
VII. La preparazione delle melodie per i testi in lingua volgare
54. Nel tradurre in volgare le parti che dovranno essere musicate, e specialmente i salmi, gli esperti abbiano cura che nel testo volgare siano opportunamente congiunte e la fedeltà al testo latino e l’adattabilità al canto: in questo lavoro, tengano conto della natura e delle leggi di ciascuna lingua e dell’indole e delle caratteristiche di ogni popolo. Tutto questo complesso di dati, insieme alle leggi della musica sacra, abbiano ben presente anche i musicisti nel preparare le nuove melodie.
L’autorità territoriale competente provveda perciò che nella commissione incaricata di preparare le traduzioni in lingua volgare ci siano esperti per le suddette discipline e per la lingua latina e volgare: tutti costoro lavorino in piena collaborazione fin dall’inizio.
55. Spetta all’autorità territoriale competente stabilire se un testo in lingua volgare, tramandato dal passato, e legato a una melodia, possa essere usato anche quando non concordi completamente con la versione dei testi liturgici legittimamente approvata.
56. Tra le melodie da prepararsi per i testi in volgare, hanno particolare importanza quelle proprie del sacerdote celebrante e dei ministri, sia che le debbano cantare da soli o insieme all’assemblea o in dialogo con essa. Nel comporle, i musicisti vedano se le melodie tradizionali della liturgia latina, usate a questo scopo, possano suggerire delle melodie anche per i testi in lingua volgare.
57. Le nuove melodie per il sacerdote e i ministri devono essere approvate dalla Autorità territoriale competente[40].
58. Le Conferenze Episcopali interessate facciano in modo che ci sia un’unica traduzione per ogni lingua parlata in più regioni. E pure conveniente che ci siano, per quanto è possibile, una o più melodie comuni per le parti che spettano al sacerdote celebrante e ai ministri e per le risposte e le acclamazioni del popolo; e ciò per favorire la partecipazione comune dei fedeli di una stessa lingua.
59. I compositori si accingano alla nuova opera con l’impegno di continuare quella tradizione musicale che ha donato alla Chiesa un vero patrimonio per il culto divino. Studino le opere del passato, i loro generi e le loro caratteristiche, ma considerino attentamente anche le nuove leggi e le nuove esigenze della sacra Liturgia, così che « le nuove forme risultino come uno sviluppo organico di quelle già esistenti»[41], e le nuove opere formino una nuova parte del patrimonio musicale della Chiesa, non indegne di stare a fianco del patrimonio del passato.
60. Le nuove melodie per i testi in lingua volgare hanno certamente bisogno di un periodo di esperienza per poter raggiungere sufficiente maturità e perfezione. Tuttavia si deve evitare che, anche soltanto con il pretesto di compiere degli esperimenti, si facciano nelle chiese tentativi che disdicano alla santità del luogo, alla dignità dell’azione liturgica e alla pietà dei fedeli.
61. L’adattamento della musica sacra nelle regioni che hanno una propria tradizione musicale, specialmente nelle Missioni[42], esige una particolare preparazione da parte dei periti: si tratta infatti di saper fondere opportunamente il senso del sacro con lo spirito, le tradizioni e le espressioni caratteristiche di quei popoli. Coloro che si dedicano a quest’opera devono avere una sufficiente cognizione sia della liturgia e della tradizione musicale della Chiesa, che della lingua, del canto popolare e delle espressioni caratteristiche dei popoli in favore dei quali prestano la loro opera.
VIII. La musica sacra strumentale
62. Gli strumenti musicali possono essere di grande utilità nelle sacre celebrazioni, sia che accompagnino il canto sia che si suonino soli. «Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere una notevole grandiosa solennità alle cerimonie della Chiesa e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti.
Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, purché siano adatti all’uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del luogo sacro e favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli»[43].
63. Nel permettere l’uso degli strumenti musicali e nella loro utilizzazione si deve tener conto dell’indole e delle tradizioni dei singoli popoli. Tuttavia gli strumenti che, secondo il giudizio e l’uso comune, sono propri della musica profana, siano tenuti completamente al di fuori di ogni azione liturgica e dai pii e sacri esercizi[44]. Tutti gli strumenti musicali, ammessi al culto divino, si usino in modo da rispondere alle esigenze dell’azione sacra e servire al decoro del culto divino e alla edificazione dei fedeli.
64. L’uso di strumenti musicali per accompagnare il canto, può sostenere le voci, facilitare la partecipazione e rendere più profonda dell’assemblea. Tuttavia il loro suono non deve coprire le voci, rendendo difficile la comprensione del testo; anzi gli strumenti musicali tacciano quando il sacerdote celebrante o un ministro, nell’esercizio del loro ufficio, proferiscono ad alta voce un testo loro proprio.
65. Nelle Messe cantate o lette si può usare l’organo, o altro strumento legittimamente permesso per accompagnare il canto della «schola cantorum» e dei fedeli; gli stessi strumenti musicali, soli, possono suonarsi all’inizio, prima che il sacerdote si rechi all’altare, all'offertorio, alla comunione e al termine della Messa.
La stessa norma vale, fatte le debite applicazioni, anche per le altre azioni sacre.
66. Il suono, da solo, di questi stessi strumenti musicali non è consentito in Avvento, in Quaresima, durante il Triduo sacro, nelle messe e negli uffici dei defunti.
67. È indispensabile che gli organisti e gli altri musicisti, oltre a possedere un’adeguata perizia nell’usare il loro strumento, conoscano e penetrino intimamente lo spirito della sacra liturgia in modo che, anche dovendo improvvisare, assicurino il decoro della sacra celebrazione, secondo la vera natura delle sue varie parti, e favoriscano la partecipazione dei fedeli[45].
IX. Le commissioni per la musica sacra
68. Le Commissioni diocesane di musica sacra sono di valido aiuto nel promuovere in diocesi la musica sacra in accordo con l’azione liturgica pastorale.
Devono perciò esistere, per quanto è possibile, in ogni diocesi, e operare in stretta collaborazione con la Commissione liturgica. Anzi sarà spesso opportuno che delle due commissioni se ne formi una sola, composta di esperti nell’una e nell’altra disciplina; ciò aiuterà a conseguire più facilmente il risultato voluto. Si raccomanda anche vivamente che più diocesi insieme costituiscano una unica Commissione, se ciò sembrerà più utile, per creare maggiore uniformità in una stessa regione e collocare più fruttuosamente le forze disponibili.
69. La Commissione liturgica, che si consiglia di istituire presso la Conferenza episcopale[46], si interessi anche della musica sacra; includa perciò tra i suoi membri degli esperti di musica sacra. È bene che questa commissione si tenga in relazione non solo con le Commissioni diocesane, ma anche con le altre associazioni musicali esistenti nella regione. Lo stesso vale anche per l’Istituto pastorale liturgico di cui si tratta nell’art. 44 della Costituzione.
Questa Istruzione è stata approvata dal Santo Padre Paolo VI, nell’udienza concessa a Sua Eminenza il Cardinale Arcadio M. Larraona, Prefetto di questa Sacra Congregazione, il 9 febbraio 1967. Il Santo Padre l’ha pure confermata con la sua autorità, ed ha ordinato che fosse pubblicata, fissandone l’entrata in vigore per il giorno 14 maggio 1967, domenica di Pentecoste. Nonostante qualsiasi disposizione in contrario.
Roma, 5 marzo 1967, domenica «Laetare», quarta di Quaresima.
GIACOMO card. LERCARO
arcivescovo di Bologna,
Presidente del «Consilium» per l’attuazione
della Costituzione sulla sacra Liturgia
ARCADIo M. card. LARRAONA
Prefetto della S. C. R.
FERDINANDO ANTONELLI
arciv. tit. di Idicra,
segretario della S. C. R
Bibliografia
- Wikipedia.org, versione inglese, https://en.wikipedia.org
Note
- ↑ Joncas 1997, pag. 5; Sacred Congregation of Rites 1967.
- ↑ Joncas 1997, pag. 5; Sacred Congregation of Rites 1967, sec. 3.
- ↑ Congregazione dei Riti, 1967, sec. 3.
- ↑ SC 113.
- ↑ Cfr. S. Pio X, «Motu proprio» Tra le sollecitudini, 22 nov. 1903, n. 2 (ASS 36 [1903-l904] 332)
- ↑ Cfr. S. Congr. dei Riti, Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, 3 set. 1958, n. 4 (AAS 50 [1958] 633)
- ↑ Cfr. SC 128.
- ↑ Cfr. SC 28.
- ↑ S. Congr. dei Riti, Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, n. 95 (AAS 50 [1958] 656-657).
- ↑ Cfr. SC 116.
- ↑ Cfr. SC 28.
- ↑ Cfr. SC 22.
- ↑ Cfr. SC 26 e 41-42, LG 28.
- ↑ Cfr. SC29.
- ↑ Cfr. SC 33
- ↑ Cfr. SC 14.
- ↑ Cfr. SC 11.
- ↑ Cfr. SC 31.
- ↑ Cfr. SC 30.
- ↑ Cfr. SC 30.
- ↑ Cfr. Int. OEc. 19 e 59.
- ↑ Cfr. SC 19; S. Congr. dei Riti, Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, nn. 106-108 (AAS 50 [1958] 660).
- ↑ Cfr. Int. Oec 97.
- ↑ Cfr. Int. Oec 48b.
- ↑ Cfr. Int. Oec. 48 g.