Differenze tra le versioni di "Ut queant laxis"
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Versione attuale delle 16:20, 17 ago 2023
Tratto da WikiPedia.org
Ut queant laxis è l'inno liturgico dei Vespri della solennità della natività di San Giovanni Battista che ricorre il 24 giugno.
La fama di questo inno di strofe saffiche, scritto dal monaco storico e poeta Paolo Diacono, si deve a Guido d'Arezzo, che ne utilizzò la prima strofa per trarne i nomi delle sei note dell'esacordo; A ciascuna sillaba qui evidenziata corrisponde infatti, nella musica dell'inno, la relativa nota con cui è cantata. Da tale criterio convenzionale derivano tuttora i nomi delle note musicali: Ut-Re-Mi-Fa-Sol-La.[1]
Il nome della nota Si non si deve a Guido D'Arezzo, ma fu aggiunto solo nel XVI secolo: infatti il canto gregoriano, e la musica medievale in genere, non prevedevano l'uso della sensibile, cioè del settimo grado della scala. Non stupisce pertanto, nella musica dell'inno in questione, che la nota iniziale del settimo e ultimo verso della strofa non prosegua l'andamento diatonico ascendente delle sillabe iniziali dei 6 versi precedenti (non sia cioè un Si, secondo la notazione moderna, ma un Sol). Il nome della settima nota della scala diatonica fu tratto dalle iniziali delle due parole che compongono detto verso: (Sancte Iohannes = Si).
Nell'uso liturgico l'inno viene diviso in più parti per essere cantato in diversi momenti: così la sezione che inizia ad "Antra deserti teneris sub annis" è propria del Mattutino mentre quella che ha per primo verso "O nimis felix meritique celsi" viene cantata durante le Lodi. In tempi recenti il primo verso della seconda strofa è stato cambiato in "Nuntius caelo veniens supremo" per eliminare la menzione troppo paganeggiante all'Olimpo.
Indice
Testo e traduzioni
Ut queant laxis resonare fibris Nuntius celso veniens Olympo Ille promissi dubius superni Ventris obstruso positus cubili Antra deserti teneris sub annis Praebuit hirtum tegimen camelus Ceteri tantum cecinere vatum Non fuit vasti spatium per orbis O nimis felix meritique celsi, Serta ter denis alios coronant Nunc potens nostri meritis opimis ut pius mundi sator et redemptor Laudibus cives celebrant superni Amen. |
Perché i fedeli sulla lenta lira Un angelo disceso dall'alto Olimpo Egli dubbioso della promessa divina, Nascosto ancora nel seno della madre, Dalla tenera età, lasciando i luoghi abitati, Il cammello ti offrì una dura veste al casto fianco, Gli altri profeti vaticinarono soltanto Non nacque per lo spazio del vasto mondo O te felice, adorno di alti meriti, Trenta serti coronano alcuni santi, Perciò, ricco di tanti meriti, affinché il Fattore e Redentore del mondo Te i cittadini del cielo con lodi celebrino, |
Questo testo, diviso in varie sezioni, viene cantato alle diverse ore dell'ufficio divino.
Spartiti musicali
Spartito gregoriano, impaginato su foglio formato A4:
Spartito disponibile in formato PDF impaginato su foglio A4, Media:UtQueandLaxis.pdf
Video
Versione tratta dal Liber Usualis (1961), p. 1505, cantata da Giovanni Vianini, Schola Gregoriana Mediolanensis, Milano, Italia.
Codice sorgente GABC
name:Ut queant laxis; office-part:Hymnus; mode:2; book:The Liber Usualis, 1961, p. 1504; transcriber:Andrew Hinkley; %% (f3) UT(e) que(f')ant(h) la(fg)xis(f.) (,) re(f')so(f)ná(e')re(f) fi(g)bris(g.) (;) Mi(g!hwi)ra(g) ges(f)tó(ge)rum(f.) (,) fá(h')mu(i)li(j) tu(i)ó(hf)rum,(f.) (:) Sol(iji)ve(hg) pol(h)lú(i)ti(f.) (,) lá(j')bi(i)i(j) re(hi)á(j)tum,(j.) (,) Sanc(ih)te(gf) Jo(e)án(g)nes.(f.) (::) 2. Nún(e)ti(f')us(h) cel(fg)so(f.) (,) vé(f')ni(f)ens(e') O(f)lým(g)po,(g.) (;) Te(g!hwi) pa(g)tri(f) má(ge)gnum(f.) (,) fo(h')re(i) na(j)sci(i)tú(hf)rum,(f.) (:) No(iji)men,(hg) et(h) vi(i)tæ(f.) (,) sé(j')ri(i)em(j) ge(hi)rén(j)dæ(j.) (,) Or(ih)di(gf)ne(e) pro(g)mit.(f.) (::) 3. Il(e)le(f') pro(h)mís(fg)si(f.) (,) dú(f')bi(f)us(e') su(f)pér(g)ni,(g.) (;) Pér(g!hwi)di(g)dit(f) promp(ge)tæ(f.) (,) mó(h')du(i)los(j) lo(i)qué(hf)læ:(f.) (:) Sed(iji) re(hg)for(h)más(i)ti(f.) (,) gé(j')ni(i)tus(j) per(hi)émp(j)tæ(j.) (,) Or(ih)ga(gf)na(e) vo(g)cis.(f.) (::) 4. Ven(e)tris(f') ob(h)strú(fg)so(f.) (,) ré(f')cum(f)bans(e') cu(f)bí(g)li(g.) (;) Sén(g!hwi)se(g)ras(f) Re(ge)gem(f.) (,) thá(h')la(i)mo(j) ma(i)nén(hf)tem:(f.) (:) Hinc(iji) pa(hg)rens(h) ná(i)ti(f.) (,) mé(j')ri(i)tis(j) u(hi)tér(j)que(j.) (,) Ab(ih)di(gf)ta(e) pan(g)dit.(f.) (::) 5. Sit(e) de(f')cus(h) Pa(fg)tri,(f.) (,) ge(f')ni(f)tǽ(e')que(f) Pro(g)li,(g.) (;) Et(g!hwi) ti(g)bi(f) com(ge)par(f.) (,) u(h')tri(i)ús(j)que(i) vir(hf)tus,(f.) (:) Spí(iji)ri(hg)tus(h) sem(i)per,(f.) (,) De(j')us(i) u(j)nus,(hi) om(j)ni(j.) (,) Tém(ih)po(gf)ris(e) ǽ(g)vo.(f.) (::) A(fgf)men.(ef..) (::)
Bibliografia
- Wikipedia.org, versione italiana, https://it.wikipedia.org
- GregoBase project, https://gregobase.selapa.net/
- Liber Usualis, Solesmes 1961, pagina 1504.
Note
- ↑ Successivamente la sillaba ut fu sostituita con do; l'artefice della sostituzione fu per lungo tempo erroneamente identificato in Giovanni Battista Doni, il quale nel XVII secolo avrebbe a questo scopo impiegato la prima sillaba del proprio cognome; in realtà l'uso della sillaba do è attestato già nel 1536 (dunque molto prima della nascita di Doni) in un testo di Pietro Aretino, ed è presa dal latino "Dominus".